Ellen  Zweig

Opera svolta in chiave minimalista, la semplicità del narrare, con termini altrettanto istantanei,  eppure subito l’orecchio capta delle frasi che pesano come macigni, «these words had any meaning», «the language is a barrier» difficile trasporlo sulla pagina scritta. Una narrazione che definirei tipica da romanticismo inglese, Wordsworth e la sorella Dorothy che passeggiano nel Lake District in attesa di Coleridge. Quando ha allestito la performance di questo brano, il pubblico doveva entrare in uno spazio chiuso come fosse una camera oscura, l’ambientazione visiva presentava una Lady vittoriana dentro una carrozza che appena si muoveva faceva partire un loop di immagini sul paesaggio circostante, la colonna sonora era data dal poema qui archiviato. Una scrittura sperimentale, She travelled for the landscape, perché torna spesso sugli stessi concetti con mirate sostituzioni permutanti in chiave paradigmatica, ripetuti però con il giusto garbo, più avanza e più si avvolge a spirale su se stessa. «Language is interior, it was difficult to represent on paper, landscape is interior, it was difficult to represent on paper». Questa la ragione che la spinge verso l’oralità dove un poema del genere trova la sua più piena ed unica realizzazione. Ci troviamo di fronte ad una voce leader e ad altre che le fanno da contrappunto, oscurando il senso con la solita tecnica già adottata dal simultaneismo. La qualità del tono rende l’ascolto gradevole soprattutto in virtù di un chiasmo metodologico, mentre all’inizio la voce di Ellen è protagonista e le altre creano un effetto multiplo di deviazione, alla fine sono le voci deuteragoniste a venire in primo piano e quella di Ellen lentamente ad oscurarsi. Tra tanto straparlare, digressioni ed iterazioni, ci resta impresso nella mente che, appunto, il linguaggio è una barriera, (insormontabile?), che è difficile trasporlo sulla pagina e che le parole usate possono avere qualsiasi significato perché «everything is most conversational». Alla lunga la sensazione veicolata è quella di vuoto, ma per ottenere questo effetto straniante occorrono tutti i quindici minuti della durata del poema e soprattutto the delicacy of details. Tutto ciò torna a merito dell’autrice perché la scelta delle parole come la lunghezza del poema va sempre relazionata all’effetto che si vuole ottenere, come già aveva suggerito Edgar Allan Poe in The Philosphy of Composition.

Sound Travels, sound tracks by Ellen Zweig, Awkward Sentence, U.S.A., 1986.

(The National Endowment for the Arts)