Ernst Robson

Concentra lo sforzo compositivo sulla consonante w, un balbettio consistente che oltre ad annettere valore creativo alle balbuzie, tenta un impatto sostenuto solo dal supporto consonantico. La w è l’incipit di Woodstock, che viene sciorinato e ripetuto come per imprimerlo nella nostra memoria auditiva. Il pezzo qui antologizzato proviene da un lavoro molto più articolato, basato su scelte matematiche, un metodo originale per individuare pairs of dissonant vowels. «Two sounds – scrive Robson– tend to mask each other when they occupy the same frequency region. A lower frequency neighbor tends to mask a higher one. The three pairs of masking prone vowels used in this composition are characterized by most powerful energy levels between 700 and 1000 Hz». Considerando che la voce maschile può raggiungere al massimo i 300 Hz, si capisce a quale livello spari queste coppie di vocali, più che farcele memorizzare vuole stordirci. Studia i parametri del suono, parla di vocali e dittonghi di scarto, orchestrando (per riprendere un suo allettante titolo, The Orchestra of Language del 1959), procedimenti particolari che definisce prosodynic print. Tali considerazioni sottolineano l’importanza del dominare la tecnologia senza esserne sopraffatti. Il poema deve sempre discendere da un’idea realizzata coerentemente con il medium a disposizione. Questi picchi vocalizzanti che registra con tale impeto, anche cattiveria, non provengono dalle mani di un musicista avvezzo a trattare con tatto le onde sonore, ma dagli alti e bassi della sua vita. Ricordo en passant che da cacciatore di volpi è diventato provetto chimico, poi da marine (fu tra i primi ad entrare a Nagasaki dopo l’esplosione nucleare) si è trasformato in astronomo per poi dedicarsi a tempo pieno alla poesia sonora. Non sto inneggiando al valore delle vita come cifra artistica, però a volte le esperienze quotidiane si travasano nelle opere poetiche, come nel caso appena descritto, oppure penso a certi audiopoemi di Chopin dove trasferisce pari pari le paure accumulate come legionario nella penisola dell’Indocina o ad Åke Hodell (membro del Fylkingen group) che in quanto pilota di caccia svedesi, era solito ricorrere al collage del rombo degli aerei da combattimento.