Nobuo  Kubota

Vale il commento già svolto per Mark (Sutherland), non a caso i brani qui selezionati provengono da un CD che hanno realizzato e firmato entrambi come duo. Ascoltando le impossibili e improbabili giravolte buccali di Nobby, la domanda che ci si pone è la seguente? E se questo fosse davvero il nostro linguaggio? E non quello inflazionato e logoro che tutti conosciamo? Paradossalmente anche queste sventagliate di stranezze o contorcimenti prodotti rigorosamente dall’apparato fonico portano il loro bravo carico di comunicazione. A volte si può fare a meno della parola e sostituirla con queste anomalie apparentemente sgraziate, come facevano probabilmente i nostri antenati o fanno i neonati che ancora non hanno appreso a parlare. Non compare nemmeno un lacerto sillabale, quindi viene portata all’estremo l’intuizione del primo dada tedesco, solo che allora si trattava di semplici e brevi emissioni consonantiche, qui invece, le sperimentazioni durano molto di più per rendere solido e consistente l’effetto nell’ascoltatore. È la classica regola della quantità che corrobora anche la qualità del prodotto. Quanto si ascolta ha sicuramente il suo senso immediato, nel contempo si deduce anche una conseguente astrazione simbolica. Il rumore rimanda sempre a qualcosa di reale, in alcuni casi, ma anche a qualcosa di concettuale e persino, potrei aggiungere, qualcosa di sentimentale. Come usava dire Kruchonykh, quando si è in preda all’ira le parole vanno in pezzi, oppure quando si è paralizzati da una forte emozione, non escono più termini di senso compiuto. Ecco allora che poemi come Quick Facts o Verb Futures esistono per ricordarci che tutto è ancora possibile, anche una meta-narrazione senza nessun ausilio paradigmatico e sintagmatico.