Demetrio Stratos

Riteneva che la voce nella musica al suo tempo, Anni Settanta, fosse un canale di trasmissione che non trasmetteva più nulla; opinione condivisa anche da Lyotard secondo il quale oramai i brutti suoni avevano diritto all'ascolto.

Quindi la ricerca di Stratos innova e rinnova, forse in modo irripetibile, la centralità della voce; imporre una volta per sempre il linguaggio padrone contro il pensiero-servo (Derrida), il linguaggio padrone incarna la dittatura del proletariato, liberando la voce si liberano anche i proletari dalla loro schiavitù.

L'aspetto utopico, consistente nel cambiare le società attraverso l'arma della poesia, è vecchio quanto il mondo, intere generazioni di poeti vi hanno creduto e probabilmente vi crederanno. Coltivava la voce come fosse prole, preparava il corpo come un atleta prima di una gara; la sua voce era davvero polifonica, la diplofonia la otteneva emettendo un suono nasale, inserendovi sopra una liquida, tenendo la lingua appoggiata sul palato, oppure con un colpo di glottide, inseriva un suono gutturale sopra quello nasale.

Era giunto anche alle quadrifonie, (suoni mantenuti a lungo con intromissioni della liquida e del colpo di glottide) praticate da alcuni monaci tibetani e da certi cavalieri erranti della Mongolia, riti atavici, cerimoniali, e chissà dove lo avrebbe portato il suo instancabile nomadismo ricercatore.

in Demetrio Stratos la voce-musica a cura di Janete el Haouli, Auditorium, Milano 1999, courtesy Daniela Ronconi.