Peter Frank

Il fastidio, cui allude il brano sin dal titolo, è l’eterna lotta tra il testo e la musica. Dal prevalere dell’uno o dell’altra dipende se stiamo ascoltando una canzone o un poema sonoro, un musical or un lied. Secondo questa prospettiva il pezzo oscilla tra i due estremi dell’opera lirica e del poema fonetico, a tratti mescola i due piani, a volte vince l’uno e perde l’altro o viceversa. L’elemento nominale viene ricondotto a brevissimi monosillabi, tra i tanti I e you, che vengono eseguiti come fossero vere note, e qui ci si inoltra verso la struttura operistica consolidata da un’ampia e storica tradizione. Quando invece la musicalità, per quanto essa sia prevedibile ed elementare, prende decisamente il sopravvento, relega lo spezzato lessicale in netto secondo piano e si impone all’attenzione. La competizione non è finita, peraltro assistiamo ad un conflitto tipico dell’arte contemporanea, la voce pian piano riprende fiato, si organizza in una coralità timbrica che irretisce la melodia di base, la disturba, la infastidisce, riscattando il proprio indubbio prestigio, ciò è evidente nella stoccata finale con quel fermo e vincente kept. Se si osservano sul display di un qualsiasi software gli impulsi visivi che mandano questi suoni, si noterà un continuo alzarsi e abbassarsi dei picchi, proprio come fosse un duello dove i contendenti si scambiano colpo su colpo senza pietà. Forse la seccatura sta anche dalla parte dell’ascoltatore che deve compiere un indubbio sforzo per resistere all’attacco dei suoi timpani. Qui si aprirebbe una lunga digressione sulla funzione terapeutica del rumore, sui benefici del rumore bianco e, da ultimo, sulla resilienza del ricettore, su questo punto specifico rimando ad altri saggi miei, tuttavia, giova sempre citare Cage quando invitava chi non capiva subito un suo pezzo, a riascoltarlo più volte.

In poesia sonora, ma questo vale anche per l’arte in generale, non è concesso tutto e il contrario di tutto. Quindi insistere sui possibili e necessari distinguo, significa delimitare il percorso della poesia sonora e differenziarlo da altri che per quanto possano sembrare simili, non lo sono. Ciò è soprattutto lampante se si pone il dovuto riguardo ad una proficua massima ancora di John Cage il quale era solito dire che se sei intenzionale quando crei non puoi fare quello che ti pare, mentre se sei non-intenzionale, sì. Le poesie che più ci piacciono sono quelle intenzionali, Irk è stato inserito in questo archivio proprio perché si colloca in bilico su quella linea impalpabilmente sottile che separa appunto l’intenzionale dal non-intenzionale.