Michèle Métail

Lo scritto integrale di Mandibule, Mâchoire può essere letto tranquillamente nel silenzio della propria mente come usava dire Gadamer. Si tratta di 26 poemetti disarticolati e assemblati  con tagli mirati. Il senso di queste poesie, però, sarebbe monco se non intervenisse la voce di Michèle. Infatti ascoltandola si ha la netta sensazione che ogni singola parola si animi e trovi la sua ragione di essere proprio in virtù della tagliente esecuzione orale. Ho scritto tagliente per indicare una performance esatta, millimetrica nello scandire come un metronomo i tempi interpretativi che si aggirano circa sui trenta secondi per pezzo. L’apparato lessicale ruota attorno ai due organi evocati dal titolo, appunto la mandibola e la mascella, così vitali ed essenziali nell’economia della comunicazione quotidiana con sequenze ad esse riferite per analogia, estensione o contrasto affidandosi alle cure del collage come metodo prediletto. Probabilmente nella stesura scritta si risente della sua appartenenza all’Oulipo fin dalla metà degli anni Settanta anche se poi in seguito ne ha preso le distanze. Il motivo appare abbastanza evidente, infatti la decisione di convogliare ogni energia nell’alveo dell’oralità, la distingue nettamente dal gruppo parigino. Apparentemente agisce come lettrice di se stessa, io penso che sia una poetessa sonora in piena regola perché il testo scritto pur necessario come pretesto di partenza, viene di volta in volta spifferato secondo moduli ben precisi, in genere si parte con un sussurro per volgere verso un crescendo. L’oralità infonde una girandola di impressioni benefiche sconosciute alla freddezza della scrittura, ciò lo si capta a tutto tondo in questa occasione dove il testo stampato ed allegato al CD funge da libretto. La parola non viene mai forzata, semmai è la catena sintattica ad essere spezzata ma appena si entra nella sfera orale la parola stessa prende il volo della tonalità, subisce il ritmo frenetico impresso ad ogni brano. A completare l’opera occorre menzionare i raffinati tocchi musicali di Louis Roquin mantenuti sempre a debita distanza, riempiendo delicatamente gli esigui spazi lasciati vuoti, non a caso si esprime con forza solo nei finali quando la voce esce di scena e tace.