Philadelpho Menezes

Avendo seguito da vicino la nascita e lo sviluppo della sua poesia sonora, si capisce quanto importante sia possedere una teoria prima di lanciarsi nella pratica. Teoria non vuol dire schema d'esecuzione, teoria significa proprio elaborare un approccio estetico verso la poesia sonora, ciò che noi abbiamo tentato con la scrittura del Manifesto della Polipoesia (1986).

Ora, nel suo caso, provenendo da ambiti visuali, San Paolo la patria del concretismo, e forgiato soprattutto dall'esperienza del poema-processo elaborata da Wladimir Dias-Pino, opera un tentativo pienamente riuscito di rendere concettuale il poema sonoro. Nel poema deve succedere un qualcosa che provochi una riflessione nella mente dell'ascoltatore; il poema sonoro diviene il campo privilegiato dove sperimentare per esempio la dilatazione o il restringimento del tempo, oppure l'alterazione dei nomi propri con minimi spostamenti fonetici, oppure riprodurre sensazioni naturalistiche con il rumore delle onde marine.

In performance, diveniva un mangiatore di parole, meglio, anziché divorare parole sgranocchiava noccioline o sorseggiava Coca-Cola impedendosi o impedendo la fuoriuscita del flusso fonetico intelligibile, con evidenti effetti dissacranti; tutte le volte che eseguiva questo pezzo il nostro pensiero andava a quella performance della Giulia Niccolai che otteneva lo stesso effetto, non leggendo testi classici ma suoi, e infilandosi in bocca, non cibo, ma pallottole di carta ad libitum.